domenica 25 gennaio 2009

Considerazioni su inceneritore di Montale

Interrogazione Pubblica al Presidente del Tavolo istituzionale sull'inceneritore di Montale, Vicepresidente ed Assessore all'ambiente della Provincia di Pistoia


Al Presidente Giovanni Romiti
E p.c.
Ai sindaci dei Comuni di Montale,
Agliana, Quarrata, Montemurlo
Pistoia e Cutigliano
All'ARPAT di Pistoia
All'ASL di Pistoia
Alla Procura della Repubblica

Signor Presidente abbiamo stabilito, con calcoli approssimati, ma realistici, in quanto basati su dati oggettivi, che l’inceneritore di Montale, nel solo periodo in cui si è verificato lo sforamento che ha portato alla ben nota chiusura dell’impianto, ossia dal 3 maggio 2007 al 20 luglio dello stesso anno, ha emesso qualcosa come 40 milioni di nanogrammi tra diossine e furani (espressi come tossicità equivalente I-TEQ, valore pesato sulla sola diossina più tossica, in quanto la quantità reale complessiva è enormemente superiore).
Ci sembra che queste diossine non rappresentino certo una “fuoriuscita limitatissima”, così come da Lei dichiarato alla stampa, in considerazione dell’estrema tossicità di tale sostanza.
Se prendiamo come raffronto la dose massima settimanale tollerabile stabilita dall’OMS per un individuo adulto di 70 chili e corrispondente a circa 1 nanogrammo, abbiamo che l’inceneritore di Montale, in quel periodo, ha emesso ogni settimana oltre 3.600.000 nanogrammi di diossine, corrispondenti a quanto sarebbe al massimo tollerabile, settimanalmente, per una popolazione adulta di 3.600.000 persone.
Tutto questo senza considerare tutti i precedenti sforamenti permessi all'inceneritore da proroghe e deroghe.
Ricordiamo che la maggior fonte delle diossine, pari al 64% del totale, secondo i dati dell'inventario della Commissione Europea, sono gli inceneritori per rifiuti urbani, per rifiuti ospedalieri e per rifiuti industriali, e l'inceneritore di Montale brucia rifiuti urbani, rifiuti ospedalieri e rifiuti industriali.

Signor Presidente non pensa che queste diossine, trattandosi di inquinanti organici persistenti – POP’s in gergo tecnico – che si degradano molto lentamente, e che non spariscono certo d’incanto, da qualche parte saranno pur finite?

Legandosi al particolato sia primario che secondario, presto o tardi le diossine finiscono per depositarsi al suolo e/o alla vegetazione che lo ricopre, fermandosi, almeno inizialmente, alla superficie. E’ così, ad esempio, che animali da cortile, quali polli, conigli, anatre ed oche, possono averle assimilate, al pari di pecore, mucche e cavalli che si sono alimentati sul posto, vuoi pascolando direttamente in terreni contaminati, vuoi nutrendosi con fieno e foraggi raccolti nelle aree di ricaduta.
E’ per questo che le indagini effettuate sulle matrici biologiche, quali carni, latte, uova provenienti da animali alimentati con mangimi di produzione locale possono fornire informazioni ben più significative di quelle ottenibili dai campioni di suolo.

Signor Presidente perchè, mentre da parte della provincia e dell’ARPAT ci si è dati un gran daffare a pubblicizzare i dati ottenuti dalle analisi dei suoli, per quanto riguarda le indagini effettuate dall’ASL sulle matrici animali ed alimentari è calato un silenzio tombale?

Signor Presidente si sa che a pensare male si fa peccato, ma il più delle volte ci si azzecca: non sarà forse che da queste indagini sulle matrici animali ed alimentari sono emersi dati che inchiodano l’inceneritore di Montale?

Gli organi istituzionali e le amministrazioni interessate avrebbero tutto l’interesse a rendere pubblici nel più breve tempo possibile, i risultati ottenuti su queste matrici, in caso di loro negatività, rassicurando in questo modo le popolazioni che abitano nelle aree di ricaduta.
Se, viceversa, fossero emersi dati significativi e preoccupanti, è un loro preciso dovere di informarne la cittadinanza e, al contempo, di prendere i provvedimenti necessari a tutela in primo luogo della salute dei cittadini e al tempo stesso dell’ambiente.
A guardare bene, in effetti, è difficile togliersi di dosso l’impressione che ci si sia dati un po’ troppo da fare per confondere le acque.
Proviamo a guardare bene questi dati dell’indagine ambientale effettuata da ARPAT.
Andiamo per gradi. In un primo momento sono stati effettuati campionamenti in 29 postazioni, 23 delle quali vengono classificate come interne all’area di ricaduta degli inquinanti emessi dall’inceneritore, stimata in base a un modello previsionale computerizzato e altri 6 dichiarate esterne alla suddetta area, scelte, come si legge nella relazione che lo stesso ente ha stilato, in modo da avere “elementi di pressione analoghi a quelli presenti nelle aree interessate dalle ricadute degli inquinanti emessi dall’inceneritore, differenziandosi quindi, dalle altre, solo per l’assenza dell’impianto”: nelle intenzioni di chi ha effettuato tale scelta, rappresentano l’elemento di riferimento per valutare l’inquinamento “di fondo” dell’area, ovvero, come si suol dire, fungono da “bianco”.
Ma che di “bianco” non si tratti è talmente evidente, che gli estensori della relazione sono costretti a definire “grigie” queste aree, anche se forse l’aggettivo più appropriato sarebbe “sporche”. Infatti sono stati scelti tre punti lungo l’autostrada, autostrada che indubbiamente non è compresa tra gli elementi di pressione ambientale presenti nelle aree interessati alle ricadute dell’ inceneritore di Montale.
Due sono collocati in prossimità di svincoli autostradali, rispettivamente di Pistoia e di Prato Est, il terzo punto, anche se indicato come “via Fiorentina”, in realtà è ben più prossimo all’autostrada; quanto alle altre tre postazioni, solo una può realmente essere considerata fuori ricaduta (Santomato), mentre le altre sono situate sulla linea di isoconcentrazione che corrisponde al livello minimo preso in considerazione dal modello, quindi non necessariamente fuori ricaduta.

Signor Presidente, se dunque il criterio annunciato – quello di scegliere, per le postazioni destinate a definire l’inquinamento di fondo, aree che differissero “solo per l’assenza dell’impianto” di incenerimento – non è stato rispettato, per quale motivo si è deciso di optare per simili localizzazioni?

Ancora una volta, a pensar male si fa peccato, ma ... tutto lascerebbe pensare che la scelta fosse operata per creare un effetto di confondimento: in effetti, non si poteva ignorare che nelle tre postazioni collocate sull’autostrada esisteva un esplicito fattore di confondimento del tutto estraneo alla tipologia dell’area oggetto di studio.
Sempre che, naturalmente, il traffico veicolare dia davvero un contributo significativo all’inquinamento da diossina.
A volte, però, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi: in primo luogo, con il campionamento effettuato in via Ciliegiole, a Pistoia, in prossimità tanto del casello autostradale quanto della tangenziale, ci si è imbattuti in una sorta di discarica di rifiuti industriali, visti i livelli ivi riscontrati di piombo, superiori addirittura a quelli definiti per le bonifiche di aree ad uso industriale, di zinco e di rame, superiori a quelli per le aree ad uso abitativo e dei livelli certo non trascurabili di diossine, ben superiori a tutti gli altri ottenuti in questa prima fase: troppa grazia, S.Antonio!
Quei risultati, oltre a imporre la bonifica del sito, lo hanno reso inutilizzabile come termine di riferimento, essendo impossibile considerare i valori ottenuti come valori di fondo.
In secondo luogo, gli altri due campionamenti effettuati lungo l’autostrada, hanno fornito risultati per le diossine significativamente inferiori non solo rispetto ai valori massimi riscontrati in area di ricaduta, ma anche rispetto alla media dei valori interni a tale area: per la precisione, la media dei due valori trovati lungo l’autostrada è di 1,06 ng/kg ss, (ss = suolo secco), quindi un po’ più di un quarto del valore trovato in via Compietra, a Montale (3,94) ed appena più di metà della media dei valori trovati in tutta l’area di ricaduta (2,06).
Dunque, sulla base dei risultati sperimentali, non è affatto credibile che i livelli di diossina trovati nell’area di ricaduta siano imputabili al traffico veicolare, nè appaiono credibili le altre fonti citate nella relazione di ARPAT con l’intento anche troppo evidente di “assolvere” l’inceneritore.
Viceversa, dall’esame dei dati emerge con evidenza una distribuzione niente affatto casuale degli stessi e correlata al modello diffusionale degli inquinanti emessi dall’inceneritore.
Intanto, i 28 dati (scartando via Ciliegiole come dato anomalo), suddivisi in una scala regolare sulla base delle concentrazioni (0-1, 1-2, 2-3, >3 ng/kg ss) appaiono distribuiti con una certa regolarità nelle diverse fasce del modello previsionale e, in particolare, i tre valori superiori a 3ng/kg giacciono quasi esattamente su una delle linee di isoconcentrazione previste dal modello.
Ancor più suggestiva appare l’analisi dei valori medi riscontrati nelle diverse aree in cui è stata suddivisa la zona di ricaduta: si osserva (vedi tabella più sotto) che la concentrazione, partendo dall’inceneritore, si mantiene più o meno sullo stesso livello nelle due fasce più vicine, poi cresce nei due livelli successivi raggiungendo il massimo nell’area identificata col n. 2 ed infine torna a decrescere, riportandosi, sul confine dell’area di ricaduta, ai livelli da cui era partita in vicinanza dell’impianto, quindi nettamente superiore al “fondo” autostradale, ad indicare che i confini dell’area di ricaduta sono sicuramente più ampi di quelli considerati. La variazione delle concentrazioni mostra una simmetria assai significativa, centrata sulla media dei valori dell’area 2:

Tab.1 Concentrazione di diossine (espresse come tossicità equivalente I-TEQ) in aree a distanza crescente (dalla N.5 alla N.1) dall’inceneritore e sul confine esterno dell’area N. 1


N. area I-TEQ media Unità
5 1,7 ng/kg ss
4 1,6 “
3 2,3 “
2 3,0 “
1 2,3 “
Confine esterno 1,7 “

Un simile andamento trova una sua precisa giustificazione se si pensa che il modello diffusionale della diossina in molti casi è più simile a quello di un gas, e perchè, aderendo prevalentemente alle particelle più fini, diffonde maggiormente e tende a ricadere a distanze maggiori.
In effetti, i principali studi di carattere epidemiologico effettuati su popolazioni residenti attorno ad inceneritori, hanno studiato gli effetti delle diossine di solito a distanze più grandi di quelle prese in considerazione in questa indagine.
Se dunque appare logico ritenere che le diossine trovate nel terreno derivino in misura prevalente dall’inceneritore, c’è da dire che quelle trovate ne rappresentano solo una frazione, quasi certamente minoritaria, di quelle che si sarebbero potute trovare se si fosse rispettata la metodologia prevista nel progetto di indagine presentato inizialmente dal tavolo tecnico costituito a supporto del tavolo istituzionale.
Nella bozza iniziale del progetto, e che in tale forma ancora è disponibile sul sito della Provincia di Pistoia, i campionamenti dei terreni (29 come quelli effettivamente eseguiti, ma diversamente distribuiti nelle diverse zone e difformi soprattutto per quanto riguarda numero e dislocazione dei punti fuori ricaduta) dovevano interessare “lo strato superficiale compreso tra 0 e 10 cm di terreni che non avessero subito lavorazioni o, solo in subordine, nel caso in cui nella postazione prescelta non fosse stato possibile identificare terreni non lavorati, fino a 20 cm di profondità”.
E’ noto infatti che le diossine presenti nel terreno mostrano una scarsa mobilità e, aderendo stabilmente al carbonio organico del terreno stesso, sono maggiormente concentrate nello strato più superficiale, là dove la componente organica è maggiormente presente.
Da un analogo studio effettuato a Reggio Emilia è stato messo in evidenza che il rapporto fra la concentrazione dello strato superficiale 0-10 cm e di quello immediatamente sottostante (10-20 cm) può essere anche superiore a 3:1, dimostrando che la concentrazione è tanto più alta quanto più ci si avvicina alla superficie.
Invece, i campionamenti effettuati dall’ARPAT di Pistoia sono stati realizzati eliminando preliminarmente proprio lo strato più superficiale del terreno, tra 0 e 5 cm e analizzando il terreno compreso tra 5 e 15 cm di profondità.
Non è difficile comprendere che, se le diossine hanno la loro maggiore concentrazione nello strato compreso tra 0 e 10 cm, così facendo si è buttata via la fetta più ricca di diossine e la si è rimpiazzata con una fetta di pari spessore nella quale la concentrazione delle diossine si è già ridotta drasticamente.

Signor Presidente ci può dire quale logica ci può mai essere dietro la scelta di eliminare dai campioni di terreno da sottoporre ad analisi proprio lo strato superficiale, dove è noto che le diossine maggiormente si concentrano?

Non vorremmo davvero pensare che si sia cercato di nascondere le prove, soprattutto se si tiene conto che lo strato più superficiale del terreno è maggiormente influenzato dagli eventi recenti e quindi, se si volevano trovare le tracce dell’ultimo sforamento, bisognava andarle a cercare proprio lì!
Tuttavia, nonostante questo, dall’ accurato riesame che abbiamo fatto dei dati dell’analisi ambientale, non è affatto vero che i risultati non sono apparsi correlabili con la distanza dall’inceneritore, nè che la presenza ambientale di diossine e furani sia verosimilmente dovuta a più sorgenti: a meno che con questa affermazione non si voglia significare la banale considerazione che non tutta la diossina proviene solo ed esclusivamente dall’inceneritore.
Quello che conta è quale sia il contributo prevalente e, dall’esame da noi fatto sui risultati da voi forniti, appare con chiarezza il contributo assolutamente determinante dell’inceneritore, nonostante le discutibili scelte effettuate nelle modalità di campionamento, già evidenziate, che hanno portato a un indubitabile diluizione dei risultati.
Determinanti, a questo punto, diventano i dati sui campioni animali ed alimentari effettuati dall’ASL.
La consapevolezza dell’importanza di questi ultimi risultati non può certo sfuggire – e sicuramente non è sfuggita – a chi ha eseguito l’indagine ambientale.
A questo punto, senza che ciò fosse previsto dal progetto iniziale predisposto dal tavolo tecnico, sono stati effettuati nuovi campionamenti di terreno, in corrispondenza, si è dichiarato, delle postazioni nelle quali erano stati prelevati campioni su matrici animali e alimentari.
Sono state scelte altre nove postazioni in cui sono state effettuate analisi dei terreni.
Anche in questo caso appare ben strano il criterio di scelta (perchè di scelta si è trattato, visto che non è pensabile che le indagini sulle matrici animali si siano limitate solo a quelle nove postazioni), in quanto di queste nove ben sette si trovano al di fuori dell’area considerata di ricaduta degli inquinanti emessi dall’inceneritore.
Ma ben più strani (e a dir poco incredibili) appaiono i risultati ottenuti per quanto riguarda le diossine: il dato più eclatante è quello ottenuto nel comune di Cutigliano, al Melo e più precisamente, in località Tauffi.
Si tratta di una località di montagna, a 1300 metri di altitudine, lontana, per quanto si sa, da fonti di inquinamento e da possibili sorgenti di diossine. Ebbene, in questa località si è trovata una concentrazione di diossine superiore a 6 ng/kg ss, quindi superiore a quella trovata in via Cilegiole, località, quest’ultima, per la quale è plausibile il risultato ottenuto: solo a titolo di esempio, la località non si trova molto distante dal luogo in cui si è sviluppato un grosso incendio in un azienda che vende prodotti per l’agricoltura ed il vivaismo, che includono materie plastiche da cui possono aver tratto origine le diossine ritrovate.

Signor Presidente, poichè l’analisi del terreno a Cutigliano è stata effettuata in quanto nella stessa località sono stati prelevati campioni su matrici animali e/o alimentari da parte dell’ASL non Le sembra, a questo punto, indispensabile rendere noti i risultati ottenuti?

Se, come si spera e si pensa, essi sono negativi, occorrerà rendere ragione del risultato anomalo rinvenuto nel terreno e ripetere quanto meno l’analisi su di esso.
Non si dimentichi che Cutigliano è stata insignita della bandiera arancione da parte del Touring Club Italiano ed è ambita meta di turismo ecologico, per cui potrebbe ricevere un grave danno economico qualora dovesse venir confermato un inquinamento da diossine.
Al dato di Cutigliano si affianca un altro dato piuttosto strano ed anomalo, rilevato in località Cignano, sulla via di Lupicciano, quindi teoricamente fuori dall’influenza dell’inceneritore di Montale: qui la concentrazione delle diossine appare addirittura la più alta fra tutte le analisi effettuate, essendo di 6,8 ng/kg ss, non troppo lontana dal limite di legge per la bonifica dei suoli a destinazione abitativa.
Anche in questo caso, poichè presso la medesima postazione sono stati effettuati campionamenti su matrici animali/alimentari, è indispensabile che vengano resi noti i risultati di queste ultime analisi.
Non si comprende perchè vengano diffusi prima i risultati delle analisi sui campioni di terreno rispetto a quelli relativi ai campioni alimentari, prelevati, par di capire, precedentemente.
Non vorremmo, come abbiamo avuto occasione di dire, che si volesse sollevare del polverone per sminuire possibili evidenze emerse dalle analisi effettuate dall’ASL.
In fondo, finchè questi dati non vengono resi noti, ogni ipotesi è possibile e il silenzio non può che accrescere la preoccupazione.
Ma guardiamo un po’ nel dettaglio i risultati delle nove analisi ulteriori.
A prescindere dai due risultati “anomali” è interessante esaminare i valori medi, statisticamente sempre più indicativi del risultato singolo.
Poichè ben 7 dei 9 valori ulteriori sono classificati “fuori ricaduta” è interessante calcolare la loro media: ebbene, essa risulta di 3,42 ng/kg ss, molto più alta, quindi, sia della media della totalità dei valori appartenenti al primo set di 29 misure, sia della media di quelli che rientravano nell’area di ricaduta, che era di 2,09 ng/kg ss.
Poichè la cosa appare strana e un po’ troppo funzionale ad ipotesi assolutorie nei confronti dell’inceneritore, è bene approfondire l’analisi di questi ultimi risultati.
La prima cosa che si nota è che i 7 nuovi campionamenti effettuati fuori ricaduta hanno risultati fortemente disomogenei tra loro: questo, statisticamente, viene espresso dalla loro varianza, che è, appunto, un indice della loro “dispersione” rispetto al valore medio.
Tanto più è alta la varianza, tanto meno la media è rappresentativa.
Ebbene, la varianza, in questo ultimo caso, è di 2,09 ng/kg, equivalente ad oltre il 60% del valore medio, mentre la varianza delle misure effettuate all’interno dell’area di ricaduta nella prima fase dell’indagine era di 0,85 ng/kg, pari al 40% circa della corrispondente media.
Questo porta a considerare assolutamente più rappresentativi i valori ottenuti durante la prima fase di campionamento rispetto a quelli della seconda fase.
Ciò appare confermato da un esame ancora più dettagliato.
Tanto nel primo set di valori, quanto nel secondo, la diossina più pericolosa, la TCDD, che pesa in maniera assolutamente determinante nel calcolo della tossicità, non è mai stata determinata direttamente, in quanto è sempre risultata inferiore al limite di quantificazione (che è cosa diversa dal limite di rilevabilità, decisamente inferiore), ma è stata – correttamente – calcolata come metà del suddetto limite di quantificazione.
Ciò che stupisce è il fatto che tale limite, variabile da misura a misura, appaia significativamente inferiore nel primo set di misure rispetto al secondo (1,73 contro 2,32 ng/kg) e soprattutto con una distribuzione più compatta ed omogenea (varianza = 0,71) delle 29 prime misure rispetto alle ulteriori 9 (varianza = 1,36).
Il contributo determinante questa alta dispersione proviene proprio dalle due misure di Cutigliano e di Cignano in cui il limite di quantificazione assume valori estremamente alti, pari cioè rispettivamente a 4,4 e 5,0 (in assoluto i più alti fra tutte le determinazioni della TCDD).

Signor Presidente come è possibile, a questo punto, fare riferimento a questi due ultimi dati per affermare, come è stato fatto nella conferenza stampa congiunta di ARPAT e Provincia di Pistoia, che le possibili zone di ricaduta di inquinanti dell’impianto montalese non hanno concentrazioni più alte rispetto alla montagna, dove è da escludere l’influenza dell’inceneritore?

A noi sembra che questa affermazione possa essere strumentale, basata su dati sotto il profilo statistico molto poco significativi e con tutta probabilità anomali.

Signor Presidente si sta prospettando una situazione davvero allarmante di inquinamento, un disastro sanitario ed ambientale, causato, in massima parte da un impianto che, le ricordiamo, è assolutamente superfluo ed inutile, se si attivano meccanismi virtuosi di gestione dei rifiuti, oltretutto con minori costi e che attivano numerosi posti di lavoro.

Signor Presidente, non pensa che sia un suo preciso dovere fornire le risposte a quanto le abbiamo richiesto, tenuto conto delle considerazioni e delle note tecniche le abbiamo fornite?




Comitato Contro l’Inceneritore di Montale
Coordinamento dei Comitati della Piana FI – PO – PT
Amici di Beppe Grillo Pistoia
Forum Ambientalista Toscano
Primavera di Prato
Comitato Ambientale Montemurlo

martedì 13 gennaio 2009

Programma di Ciolini per Montemurlo

Tratto dal programma di Ciolini

4. AMBIENTE

Esistono due aspetti che dovranno essere affrontati e sviluppati concretamente nel prossimo quinquennio: rifiuti ed energia. Questi saranno due punti strategici per il futuro del nostro comune.
Per quanto riguarda i rifiuti, incentivare percorsi virtuosi nell'ottica delle 4R, indicate come pilastro per la corretta gestione integrata dei rifiuti dalla normativa nazionale ed europea: Riduzione, Recupero, Riciclaggio e Riutilizzo. Necessità quindi di prevedere il porta a porta tramite cassonetto personalizzato anche nelle aree residenziali, educazione alla riduzione dei rifiuti ed al riciclaggio a partire dalle scuole. Tutto questo affiancato alla realizzazione di un nuovo e moderno termovalorizzatore, che consenta di gestire nella maniera più ambientalmente compatibile i residui non riciclabili e di portare a progressiva chiusura le discariche esistenti, secondo l'esempio dei più moderni paesi nord europei.